Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279  -  P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale  dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C9570),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta  regionale  n.  1219  del  28  settembre.   2015   (all.   1),
rappresentato e difeso, per mandato  a  margine  del  presente  atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F.
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di  Milano  e  Luigi  Manzi
(CF.MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio  eletto  presso
lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri,  n.  5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org). 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti
disposizioni della legge n. 124 del 7 agosto 2015  recante:  «Deleghe
al Governo  in  materia  di  riorganizzazione  delle  amministrazioni
pubbliche», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13  agosto
2015: 
        dell'art. 1, comma 1, lett. b), c) e g), e comma 2; dell'art.
23, comma 1; 
        dell'art. 11, comma 1, lett a), b), p.to 2), lett. c), p.ti 1
e 2, lett. e), f), g), h), i), l), m), n), o), p), q), e comma 2; 
        dell'art. 16, commi 1 e 4; 
        dell'art. 17, comma 1, lett. a), b), e), d), e), f), l),  m),
o), q), r), s), t); 
        dell'art. 18, lett. a), b), c), e), i), l) e m), punti da 1 a
7; 
        dell'art. 19, lett. b), c), d), g), h), l), m), n),  o),  p),
s), t), u); 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. b), c) e
g), e comma 2, nonche' dell'art. 23, comma 1, della  legge  7  agosto
2015, n. 124, per violazione degli articoli 5, 81, 117, II, III e  IV
comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 1, comma 1, reca una delega al Governo per l'emanazione di
uno o piu' decreti legislativi volti a modificare e integrare,  anche
disponendone  la  delegificazione,  il  codice   dell'amministrazione
digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82,  il  cui
ambito di applicazione si estende anche alle Regioni. 
    In  particolare,  alla  lettera  b)  tra  i  criteri  e  principi
direttivi prevede:  «b)  ridefinire  e  semplificare  i  procedimenti
amministrativi, in relazione alle esigenze di celerita', certezza dei
tempi e trasparenza nei confronti  dei  cittadini  e  delle  imprese,
mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e  per  la
piena realizzazione del principio  "innanzitutto  digitale"  (digital
first), nonche' l'organizzazione e le procedure  interne  a  ciascuna
amministrazione». 
    Alla  lettera  c)  poi  dispone  «garantire,  in  linea  con  gli
obiettivi  dell'Agenda  digitale  europea,   la   disponibilita'   di
connettivita' a banda  larga  e  ultralarga  e  l'accesso  alla  rete
internet presso gli uffici pubblici e altri luoghi che, per  la  loro
funzione,  richiedono  le  suddette  dotazioni,   anche   attribuendo
carattere  prioritario,  nei  bandi  per  accedere  ai  finanziamenti
pubblici per la realizzazione della strategia italiana per  la  banda
ultralarga, all'infrastrutturazione con reti a banda  ultralarga  nei
settori scolastico, sanitario e turistico, agevolando in quest'ultimo
settore la realizzazione di un'unica rete wifi ad accesso libero, con
autenticazione   tramite   Sistema   pubblico   per    la    gestione
dell'identita'  digitale  (SPID),  presente  in  tutti  i  luoghi  di
particolare interesse turistico,  e  prevedendo  la  possibilita'  di
estendere il servizio anche  ai  non  residenti  in  Italia,  nonche'
prevedendo che la porzione  di  banda  non  utilizzata  dagli  uffici
pubblici sia messa a disposizione degli utenti, anche non  residenti,
attraverso un  sistema  di  autenticazione  tramite  SPID;  garantire
l'accesso e il riuso gratuiti di tutte  le  informazioni  prodotte  e
detenute  dalle  amministrazioni   pubbliche   in   formato   aperto,
l'alfabetizzazione  digitale,   la   partecipazione   con   modalita'
telematiche ai processi decisionali delle istituzioni  pubbliche,  la
piena disponibilita' dei sistemi di pagamento elettronico nonche'  la
riduzione del divario digitale sviluppando le competenze digitali  di
base;». Alla  lettera  g)  stabilisce:  «favorire  l'elezione  di  un
domicilio  digitale  da  parte  di  cittadini  e  imprese   ai   fini
dell'interazione con le amministrazioni, anche  mediante  sistemi  di
comunicazione non ripudiabili,  garantendo  l'adozione  di  soluzioni
idonee a consentirne l'uso  anche  in  caso  di  indisponibilita'  di
adeguate infrastrutture  e  dispositivi  di  comunicazione  o  di  un
inadeguato  livello  di  alfabetizzazione  informatica,  in  modo  da
assicurare,    altresi',    la    piena    accessibilita'    mediante
l'introduzione,  compatibilmente  con  i  vincoli  di  bilancio,   di
modalita'  specifiche  e  peculiari,  quali,  tra  le  altre,  quelle
relative alla lingua italiana dei segni». 
    In questi termini, le suddette disposizioni, trascendono la  mera
funzione del coordinamento informativo statistico e  informatico  dei
dati dell'amministrazione  statale,  regionale  e  locale,  assegnata
dall'art. 117, II comma, Cost.  alla  competenza  esclusiva  statale.
Infatti secondo la giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte, l'accezione
da attribuirsi all'inciso «coordinamento informativo» tipizzato  alla
lett. r) dell'art. 117, II comma, Cost. e' da intendersi  Quale  mero
«coordinamento tecnico» (ex plurimis, Coste cost. nn. 17 del 2004, 36
del 2004 e 35 del 2005). E' pertanto  acquisizione  pacifica  che  la
competenza statale in materia di  «coordinamento  informativo»  debba
essere intesa quale «potere limitato (per quanto riguarda le Regioni)
ad un coordinamento meramente tecnico, per assicurare  una  comunanza
di linguaggi, di  procedure  e  di  standard  omogenei,  in  modo  da
permettere  la  comunicabilita'  tra  i  sistemi  informatici   della
pubblica amministrazione» (cosi' Corte cost. n. 17 del 2004). 
    Al contrario, le  disposizioni  impugnate  invadono  vari  ambiti
competenziali di pertinenza regionale  in  materia,  ad  esempio,  di
sanita',   turismo,   attivita'   di   impresa    e    organizzazione
amministrativa regionale, incidendo unilateralmente con  prescrizioni
che prevedono, tra le altre, che i decreti delegati debbano: 
        «ridefinire e  semplificare  i  procedimenti  amministrativi»
mediante  «l'organizzazione  e  le  procedure  interne   a   ciascuna
amministrazione» (lett. b); 
        «che  la  porzione  di  banda  non  utilizzata  dagli  uffici
pubblici sia messa a disposizione degli utenti, anche non  residenti»
(lett. c); 
        «l'introduzione, compatibilmente con i vincoli  di  bilancio,
di modalita' specifiche e peculiari,  quali,  tra  le  altre,  quelle
relative alla lingua italiana dei segni» (lett. g). 
    Lungi dal  collocarsi  nell'alveo  della  definizione  di  regole
tecniche, le  disposizioni  in  esame  sembrano  piuttosto  riferirsi
all'esercizio di  un  potere  di  indirizzo  politico  trasversale  a
materie la cui spettanza, come gia' ricordato, e' senza alcun  dubbio
regionale. E' cosi', ad esempio, riguardo all'ipotesi di ridefinire e
semplificare     i     procedimenti     amministrativi      incidendo
sull'organizzazione e le procedure interne a ciascuna  organizzazione
(art. 1, comma 1, lett. b), cosi' come riguardo alla scelta  relativa
all'introduzione  di  «modalita'  specifiche  e  peculiari»  ai  fini
dell'elezione di un  domicilio  digitale  da  parte  di  cittadini  e
imprese (lett. g). 
    In questo modo le disposizioni impugnate, stabilendo una serie di
prescrizioni innovative destinate a interessare tutti i  procedimenti
amministrativi  con  cui  l'amministrazione  regionale  e  locale  si
rapporta con  cittadini  e  imprese,  determinano  una  generalizzata
interferenza con ambiti materiali  di  competenza  costituzionalmente
assegnati alle Regioni ai sensi degli artt. 117, III e  IV  comma,  e
118 della Costituzione,  tra  i  quali  la  sanita',  il  turismo,  i
procedimenti amministrativi relativi all'attivita' di impresa. 
    Se la direzione del processo di riforma, quella di  favorire  una
maggiore  digitalizzazione  delle   pubbliche   amministrazioni,   e'
senz'altro condivisibile, va tuttavia osservato che  non  prevedendo,
in violazione del principio  di  leale  collaborazione,  un  adeguato
coinvolgimento delle Regioni, l'intero  processo  si  espone  a  seri
rischi sia di diseconomie che di inefficacia. 
    Infatti, nonostante le  descritte  interferenze  con  le  materie
regionali, evidentemente non risolvibili con il mero  criterio  della
prevalenza del legislatore statale, l'art. 1, al comma 2, prevede che
i decreti legislativi di cui al comma 1 siano  adottati  su  proposta
del  Ministro  delegato  per  la  semplificazione   e   la   pubblica
amministrazione,  solo  «previa   acquisizione   del   parere   della
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281»,  da  rendere  «nel  termine  di  quarantacinque
giorni dalla data di  trasmissione  di  ciascuno  schema  di  decreto
legislativo, decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». Le
violazioni costituzionali del principio di leale collaborazione  sono
quindi molteplici: 
        i) innanzitutto  viene  previsto  un  termine  eccessivamente
breve:  come  precisato  da  questa  Ecc.ma  Corte  «costituisce   un
insuperabile   motivo    di    illegittimita'    costituzionale    la
predeterminazione di un termine irragionevolmente  breve»  (sent.  n.
274 del 2013) (che nel caso di specie era di 60 gg.!); 
        ii) anche  a  prescindere  da  questo  aspetto,  e'  di  ogni
evidenza  che  il  suddetto  parere  costituisce  uno  strumento   di
partecipazione inidoneo ad assicurare una adeguata ponderazione degli
interessi e delle esigenze delle autonomie. Questa Ecc.ma Corte nella
sent. n. 31 del 2005 ha, infatti, stabilito che: «La  previsione  del
mero parere della Conferenza unificata non costituisce, nella specie,
una misura adeguata a garantire il rispetto del  principio  di  leale
collaborazione. Per quanto l'oggetto delle norme di cui ai commi 1  e
2, cui rinvia la disposizione in esame, sia riconducibile, nei limiti
esposti, alla materia del  «coordinamento  informativo  statistico  e
informatico» di  spettanza  esclusiva  del  legislatore  statale,  lo
stesso presenta un contenuto  precettivo  idoneo  a  determinare  una
forte incidenza sull'esercizio concreto delle funzioni nella  materia
dell'«organizzazione  amministrativa  delle  Regioni  e  degli   enti
locali».  Cio'  rende   necessario   garantire   un   piu'   incisivo
coinvolgimento  di  tali  enti  nella  fase   di   attuazione   delle
disposizioni censurate mediante lo strumento dell'intesa: da  qui  la
illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 3, della  legge  n.
289 del  2002  nella  parte  in  cui  prevede  che  sia  «sentita  la
Conferenza  unificata»  anziche'  che  si  raggiunga  con  la  stessa
Conferenza l'intesa.» (Corte cost. n. 31 del 2005); 
      iii) inoltre, questa Ecc.ma Corte (sentenza n. 39 del 2013)  ha
recentemente  precisato  con  molta  chiarezza  che  la  prescrizione
collaborativa,  quando  vi  sia  una  interferenza  con  le   materie
regionali, non puo' ridursi (come fa invece la  norma  impugnata)  al
semplice decorso  del  tempo,  previsto  come  unica  condizione  per
l'adozione unilaterale dell'atto ad opera dello  Stato:  «Il  rilievo
nazionale degli interessi menzionati nella norma censurata non e'  da
solo sufficiente a rendere legittimo il superamento dei  limiti  alla
potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni fissati dal  riparto
costituzionale    delle    competenze.    Difatti,    l'accentramento
dell'esercizio di funzioni amministrative da parte dello Stato  «puo'
aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo  in
presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui  assumano  il
dovuto  risalto  le  attivita'  concertative   e   di   coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in  base
al principio di lealta'. Il semplice decorso  del  tempo  -  previsto
dalla  norma  impugnata  come   unica   condizione   per   l'adozione
unilaterale dell'atto ad opera dello Stato - per sua natura prescinde
completamente dall'osservanza,  da  parte  di  Stato  e  Regioni,  di
comportamenti ispirati al principio di  leale  collaborazione.  Quale
che sia l'atteggiamento delle parti nei  sessanta  giorni  successivi
alla scadenza del termine  per  l'adozione  dell'atto,  si  verifica,
secondo   la   richiamata   previsione   legislativa   statale,    la
concentrazione della potesta' di decidere in capo  ad  una  di  esse.
Cio' anche nell'ipotesi che proprio lo Stato abbia  determinato,  con
l'inerzia o con altri comportamenti elusivi, l'inutile decorrenza del
termine. Per le ragioni esposte, non puo' essere condiviso  l'assunto
della difesa erariale, che  la  prestazione  collaborativa  da  parte
dello Stato  possa  ridursi  alla  mera  attesa  della  scadenza  del
termine». 
    In questi termini,  il  raccordo  con  le  Regioni,  si  dimostra
altamente insufficiente e lesivo del principio di  bilateralita',  in
quanto il mancato raggiungimento dell'accordo (il cui  termine,  come
detto, peraltro e' decisamente troppo breve) legittima, di  per  se',
l'assunzione unilaterale di atti normativi in  contrasto  con  quanto
ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale. 
    Da cio' deriva la lesione degli artt. 5 e 120 Cost. sul principio
di leale collaborazione. 
    Inoltre, dal momento che  sia  all'art.  1,  comma  1,  (dove  si
prevede la «invarianza delle risorse umane, finanziarie e strumentali
disponibili a legislazione vigente»), sia all'art.  23  (Disposizioni
finanziarie) si stabilisce che dall'attuazione della legge in oggetto
e dai decreti legislativi da essa previsti non devono derivare  nuovi
o maggiori oneri a carico  della  finanza  pubblica  statale,  appare
chiaro,  vista  la  richiamata  interferenza   con   i   procedimenti
amministrativi inerenti materie regionali, che si impone un  nuovo  e
improprio onere di finanziamento della riforma in capo alle  Regioni,
in violazione degli artt. 81, la cui lesione ridonda sulle competenze
regionali, e 119 della Costituzione. L'assunzione  di  nuovi  modelli
tecnologici  imposta  dalla  normativa  statale  comporta,   infatti,
inevitabilmente dei costi per la Regione, ma  rispetto  a  questi  si
omette di destinare le risorse aggiuntive che occorrono a coprire gli
oneri conseguenti all'espletamento delle azioni necessarie. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, lett. a), b),
p.to 2), lett. c), p.ti 1 e 2, lett. e), f), g), h), i), l), m),  n),
o), p), q), e comma 2,  della  legge  7  agosto  2015,  n.  124,  per
violazione degli artt. 3, 5,  97,  117,  e  IV  comma,  e  118  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost. 
    L'art. 11, comma 1, delega il Governo ad adottare,  entro  dodici
mesi dalla data di entrata in  vigore  della  presente  legge,  salvo
quanto previsto dall'art. 17, comma 2, della stessa  legge  124/2015,
uno o piu' decreti legislativi  in  materia  di  dirigenza  pubblica,
prevedendo  l'istituzione  del  sistema  della  dirigenza   pubblica,
articolato in ruoli unificati e coordinati, aventi requisiti omogenei
di accesso  e  procedure  analoghe  di  reclutamento  e  fondati  sui
principi del merito, dell'aggiornamento, della  formazione  continua.
Viene quindi disposta la realizzazione di tre ruoli unici in cui sono
ricompresi, rispettivamente, i dirigenti  dello  Stato,  i  dirigenti
regionali e i dirigenti degli enti  locali  ed  in  cui  confluiscono
altresi' le attuali figure dei segretari comunali e provinciali. 
    In particolare, al suddetto comma 1, si  prevede  che  i  decreti
legislativi  siano  adottati  nel  rispetto  di  principi  e  criteri
direttivi che comportano: (lett. a) l'istituzione del  sistema  della
dirigenza pubblica e che inoltre stabiliscono (lett. b, p.to  2)  con
riferimento   all'inquadramento   dei   dirigenti   delle    Regioni:
«istituzione, previa intesa in sede di Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, di un ruolo unico dei dirigenti  regionali;  in  sede  di
prima applicazione, confluenza nel suddetto ruolo  dei  dirigenti  di
ruolo nelle regioni, negli enti pubblici non  economici  regionali  e
nelle agenzie regionali; attribuzione della gestione del ruolo  unico
a una Commissione per la dirigenza regionale, sulla base dei medesimi
criteri di cui al numero 1) della presente  lettera;  inclusione  nel
suddetto ruolo unico  della  dirigenza  delle  camere  di  commercio,
industria,   artigianato   e   agricoltura    e    della    dirigenza
amministrativa,  professionale  e  tecnica  del  Servizio   sanitario
nazionale ed esclusione dallo stesso, ferma  restando  l'applicazione
dell'art. 15 del decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.  502,  e
successive  modificazioni,  della  dirigenza  medica,  veterinaria  e
sanitaria del Servizio sanitario nazionale». Vengono poi indicati, in
modo generalizzato anche per i dirigenti regionali criteri e principi
direttivi che disciplinano (lett. c) l'accesso alla  dirigenza  nelle
forme del (p.to 1) corso-concorso e (p.to 2)  concorso.  Nonche'  che
disciplinano: alla lett. e) la formazione permanente  dei  dirigenti;
alla lett. f) la mobilita', peraltro, stabilendo anche la  previsione
dei casi e delle condizioni nei quali  non  e'  richiesto  il  previo
assenso delle amministrazioni di appartenenza per la mobilita'  della
dirigenza medica e sanitaria.  Alla  lett.  g)  si  prevede  poi  una
articolata serie  di  criteri  direttivi  in  ordine  riferimento  al
conferimento degli incarichi dirigenziali e alla lett. h) alla durata
degli stessi. Alla  lett.  i)  si  stabiliscono  criteri  e  principi
direttivi in ordine ai dirigenti privi di incarico; alla lett. l)  in
riferimento  alla  valutazione  dei  risultati;  alla  lett.  m)  con
riferimento alla responsabilita' dei dirigenti;  alla  lett.  n)  con
riferimento alla retribuzione; alla lett.  o)  con  riferimento  alla
disciplina transitoria. La lett  p)  detta  poi  principi  e  criteri
direttivi  con  «riferimento  al  conferimento  degli  incarichi   di
direttore  generale,  di  direttore  amministrativo  e  di  direttore
sanitario, nonche', ove previsto  dalla  legislazione  regionale,  di
direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti  del
Servizio  sanitario  nazionale,  fermo   restando   quanto   previsto
dall'art. 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502,  e
successive modificazioni,  per  quanto  attiene  ai  requisiti,  alla
trasparenza del procedimento e dei risultati, alla  verifica  e  alla
valutazione». La stessa lett. p)  prevede  poi  la  «definizione  dei
seguenti  principi  fondamentali,  ai  sensi  dell'art.   117   della
Costituzione: selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei
direttori generali  in  possesso  di  specifici  titoli  formativi  e
professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata  da
parte  di  una  commissione  nazionale  composta  pariteticamente  da
rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento  in  un
elenco nazionale degli idonei istituito  presso  il  Ministero  della
salute, aggiornato con cadenza biennale,  da  cui  le  regioni  e  le
province autonome devono attingere per il conferimento  dei  relativi
incarichi  da  effettuare  nell'ambito  di  una  rosa  di   candidati
costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano
l'interesse all'incarico da ricoprire, previo  avviso  della  singola
regione o provincia autonoma che procede  secondo  le  modalita'  del
citato art.  3-bis  del  decreto  legislativo  n.  502  del  1992,  e
successive  modificazioni;  sistema  di  verifica  e  di  valutazione
dell'attivita'  dei  direttori   generali   che   tenga   conto   del
raggiungimento degli obiettivi sanitari e  dell'equilibrio  economico
dell'azienda, anche in relazione alla garanzia dei livelli essenziali
di assistenza e dei risultati  del  programma  nazionale  valutazione
esiti  dell'Agenzia  nazionale  per  i  servizi  sanitari  regionali;
decadenza dall'incarico  e  possibilita'  di  reinserimento  soltanto
all'esito di una nuova selezione nel caso di  mancato  raggiungimento
degli obiettivi, accertato decorsi ventiquattro mesi dalla nomina,  o
nel caso di gravi o comprovati motivi, o  di  grave  disavanzo  o  di
manifesta violazione di leggi o regolamenti o del principio  di  buon
andamento e imparzialita'; selezione per titoli e  colloquio,  previo
avviso  pubblico,  dei  direttori  amministrativi  e  dei   direttori
sanitari, nonche', ove previsti  dalla  legislazione  regionale,  dei
direttori dei servizi socio-sanitari, in possesso di specifici titoli
professionali, scientifici e di  carriera,  effettuata  da  parte  di
commissioni regionali composte da esperti di qualificate  istituzioni
scientifiche, per l'inserimento in appositi elenchi  regionali  degli
idonei, aggiornati con cadenza biennale, da cui i direttori  generali
devono obbligatoriamente attingere per le relative nomine;  decadenza
dall'incarico  nel  caso  di  manifesta  violazione   di'   leggi   o
regolamenti o  del  principio  di  buon  andamento  e  imparzialita';
definizione delle modalita' per l'applicazione delle  norme  adottate
in    attuazione    della    presente    lettera     alle     aziende
ospedaliero-universitarie». 
    Da ultimo, la lettera q) stabilisce la «previsione di ipotesi  di
revoca dell'incarico e di  divieto  di  rinnovo  di  conferimento  di
incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio  di  corruzione,
in presenza di condanna anche non definitiva, da  parte  della  Corte
dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose». 
    In questi termini, tutte le suddette disposizioni si  pongono  in
contrasto con «la costante giurisprudenza di questa Corte»  (sentenza
n. 149 del 2012)  che  ha  ritenuto  che  «l'impiego  pubblico  anche
regionale deve ricondursi, per i profili privatizzati  del  rapporto,
all'ordinamento civile e quindi alla competenza  legislativa  statale
esclusiva, mentre i profili  «pubblicistico-organizzativi»  rientrano
nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e  quindi
appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione  (ex
multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77 del 2011,  n.  233  del
2006, n. 2 del 2004)» (cfr., in termini analoghi, sent.  n.  100  del
2010) 
    Le disposizioni dell'art. 11, comma 1, lett.  a),  b),  p.to  2),
lett. c), p.ti 1 e 2, lett. e), f) g), h), i), l), m), n), o),  e  q)
infatti stabiliscono puntuali principi e criteri direttivi rivolti  a
disciplinare direttamente anche la  dirigenza  regionale,  senza  che
intervenga  alcuna  distinzione  e  qualificazione,  all'interno   di
questi,  di  quei  «principi  generali  dell'ordinamento»  che   soli
sarebbero idonei a vincolare la  potesta'  legislativa  regionale  in
materia (Corte cost. sent. n. 388/2004). 
    In base all'ordinamento  vigente,  peraltro,  e'  particolarmente
esteso l'ambito di competenza legislativa residuale delle Regioni  in
relazione  alla  propria  dirigenza  (la   valenza   fondamentalmente
«pubblicistico-organizzativa» del rapporto di lavoro dirigenziale  e'
peraltro confermata dalla collocazione della «Dirigenza» nella  parte
dedicata alla «Organizzazione», nel Titolo II, Capo II, del d.lgs. n.
165/2001), essendo numerosi e rilevanti i  profili  del  rapporto  di
lavoro dirigenziale riconducibili all'«ordinamento  e  organizzazione
amministrativa»: reclutamento e sistemi di  accesso  ai  ruoli  della
dirigenza, dotazioni organiche  e  incompatibilita',  disciplina  del
conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali (cfr.  Corte
cost. n. 233/2006), nonche' quella della responsabilita' dirigenziale
e delle relative misure sanzionatorie (cfr. Corte cost n. 36/2005). 
    Di conseguenza, con riferimento alla dirigenza si presentano piu'
ridotti, rispetto al personale non dirigente, i profili del  rapporto
riconducibili alla potesta' legislativa dello  Stato  in  materia  di
«ordinamento civile», in quanto «privatizzati» e  «contrattualizzati»
dal legislatore statale. 
    In ogni caso,  gia'  anche  in  via  generale  la  giurisprudenza
costituzionale  ha  ricondotto  all'«ordinamento   e   organizzazione
amministrativa»: 
        l'accesso al pubblico impiego e i  concorsi  (inclusi  quelli
per le progressioni di carriera),  essendo  la  relativa  disciplina,
«per i suoi contenuti marcatamente  pubblicistici  e  la  sua  intima
correlazione con l'attuazione dei principi sanciti dagli artt.  51  e
97 Cost, sottratta all'incidenza  della  privatizzazione  del  lavoro
presso le pubbliche amministrazioni, che si riferisce alla disciplina
del rapporto gia' instaurato» (Corte cost. n. 380/2004) (1) , per cui
«la regolamentazione delle modalita' di accesso  al  lavoro  pubblico
regionale   e'   riconducibile   alla   materia   dell'organizzazione
amministrativa delle  Regioni  e  degli  enti  pubblici  regionali  e
rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all'art. 117,
quarto comma, della Costituzione» (Corte cost. n. 95/2008); 
        le «dotazioni organiche» (Corte cost. n. 37/2005); 
        le «incompatibilita'» (Corte cost. n. 147/2005); 
        la «responsabilita'  amministrativa»  dei  dipendenti  (Corte
cost. n. 345/2004). 
    Si  tratta  di  ambiti  in  cui  intervengono   direttamente   le
disposizioni impugnate. Tuttavia, a differenza di quanto stabilito in
precedenti riforme  (come  quella  promossa  dalla  legge  delega  n.
15/2009 che espressamente,  all'art.  2,  comma  2,  richiedeva,  per
l'adozione  emanazione  dei  decreti  legislativi   in   materia   di
dirigenza, la previa «Intesa» con le Regioni) le norme  impugnate  si
limitano a prevedere un'intesa solo (lett. b, p.to 2) con riferimento
all'istituzione del ruolo unico dei diligenti regionali,  disponendo,
invece, al comma 2 dell'art. 11 che i decreti legislativi di  cui  al
comma  l  siano  adottati  «previa  acquisizione  del  parere   della
Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto  1997,  n.  281»  che  deve  essere  reso  «nel   termine   di
quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il  quale
il Governo puo' comunque procedere». In questi termini, nonostante le
descritte interferenze con le materie  regionali,  evidentemente  non
risolvibili con il mero criterio  della  prevalenza  del  legislatore
statale, si prevede una forma di raccordo con  le  Regioni  altamente
insufficiente, lesiva del principio di bilateralita',  in  quanto  il
mancato raggiungimento  dell'accordo  (il  cui  termine  peraltro  e'
decisamente  troppo  breve)  legittima,  di  per  se',   l'assunzione
unilaterale di atti normativi in contrasto con  quanto  ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza costituzionale  richiamata  nei  punti
i), ii) e iii) del punto 1 del presente ricorso. 
    Inoltre, le disposizioni  della  lett.  f),  nello  stabilire  un
principio generale di ampliamento delle ipotesi  di  mobilita'  senza
considerare che la selezione dei dirigenti in  servizio  e'  avvenuta
sulla base dell'accertamento di  specifiche  competenze  tecniche  da
parte dell'ente che ha bandito il concorso si  pongono  in  contrasto
anche con il principio di ragionevolezza e  buon  andamento,  la  cui
lesione ridonda sulle competenze costituzionalmente  attribuite  alle
Regioni in materia prima richiamate. Nello stesso vizio incorrono  le
disposizioni della lett. i) con riferimento  ai  dirigenti  privi  di
incarico riguardo alla disciplina della decadenza  dal  ruolo  unico:
esse determinano, infatti, una reformatio in peius del regime vigente
con una violazione del  principio  del  legittimo  affidamento  (cfr.
sent.  n.  160  del  2013)  e  del  buon  andamento  della   Pubblica
amministrazione,   che   incidendo   sul   principio   di   autonomia
dell'amministrazione dalla politica, ridondano in una  lesione  delle
competenze regionali sopra ricordate. 
    Dai motivi complessivamente sopra esposti deriva la lesione degli
artt. 3  e  97  della  Cost.  che  ridonda  nella  violazione,  anche
autonomamente considerata, degli artt. 117, III e IV  comma,  118,  e
degli artt. 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione. 
    Quanto  alla  lett.  p),  che  detta  criteri  direttivi  per  la
definizione di principi fondamentali riguardo al  conferimento  degli
incarichi di direttore  generale,  di  direttore  amministrativo,  di
direttore sanitario e di direttore dei servizi socio-sanitari,  delle
aziende e degli enti del Servizio sanitario  nazionale,  e'  evidente
che con tali norme il legislatore delegante ha «formulato principi  e
criteri direttivi che tali non sono,  per  concretizzarsi  invece  in
norme  di  dettaglio»  (Corte  cost.  n.  50/2005),  che   comprimono
indebitamente, stante l'attinenza della  materia  alla  tutela  della
salute  e  all'organizzazione  amministrativa  regionale  (rientrante
nella competenza regionale  residuale,  come  sopra  dimostrato),  le
competenze costituzionalmente  garantite  alla  regione.  E'  infatti
evidente  che  dalla  portata  stringente  dei  principi  e   criteri
direttivi individuati per la selezione dei dirigenti sanitari  (dalla
definizione dei titoli formativi e professionali, alla valutazione da
parte di una commissione nazionale, alla predisposizione di un elenco
nazionale degli idonei istituito presso il  Ministero  della  salute,
aggiornato con cadenza biennale, alla definizione di  un  sistema  di
verifica e di valutazione che consideri  i  risultati  del  programma
nazionale valutazione esiti  dell'Agenzia  nazionale  per  i  servizi
sanitari regionali, ecc.) non residua alcuno spazio  a  favore  della
legislazione  regionale  (cfr.  Corte  cost.  n.  161/2006).  Il  che
configura anche una disciplina del tutto irragionevole e contraria al
principio del buon  andamento  della  Pubblica  amministrazione,  che
ridonda in una violazione delle competenze costituzionali  regionali,
posto che  la  Regione  e'  poi  l'unica  responsabile  del  corretto
governo, anche finanziario, del sistema sanitario regionale. 
    Eppure anche in questo caso, in violazione  della  giurisprudenza
costituzionale richiamata al  punto.1,  lett.  i),  ii)  e  iii)  del
presente ricorso, si applica la procedura di cui al comma 2, per  cui
i decreti legislativi sono  adottati  solo  previa  acquisizione  del
parere della Conferenza unificata, da  rendere  entro  quarantacinque
giorni, decorsi i quale il Governo puo' comunque procedere.  Si  deve
quindi escludere che nel caso di specie si sia  in  presenza  di  una
legittima chiamata in sussidiarieta'. 
    Da cio' deriva, anche in questo caso, la lesione degli artt. 3  e
97 della Cost., che ridonda  nella  violazione,  anche  autonomamente
considerata, degli artt. 117, III e IV comma, 118 e degli artt.  5  e
120 Cost. sul principio di leale collaborazione. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi  1  e  4,  della
legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli  articoli  5,  117,
II, III e IV  comma,  118  e  119  della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art.  16,  comma  1,  che  detta  i  criteri  comuni  alle  tre
successive deleghe previste dagli artt.  17,  18  e  19  della  legge
124/2015, prevede la elaborazione di  distinti  testi  unici  diretti
alla  semplificazione  disposizioni  nelle   materie:   lavoro   alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni; partecipazioni societarie
delle amministrazioni pubbliche; riordino dei servizi pubblici locali
di interesse economico generale. Tuttavia, il collegamento tra l'art.
16 e i successivi articoli 17, 18 e 19 fa si' che non  si  tratti  di
una mera delega alla semplificazione, ma che si tratti,  in  realta',
di semplificazione e riorganizzazione. 
    Nonostante le molteplici interferenze  dei  suddetti  principi  e
criteri direttivi previsti dai  suddetti  artt.  17,  18  e  19,  con
competenze regionali di cui agli artt. 117,  III  e  IV  comma,  come
l'organizzazione  amministrativa  regionale,  il  trasporto  pubblico
locale e i servizi pubblici locali (si veda, infra, p.ti da 4 a 6 del
presente ricorso), e 119 Cost., al comma 4 dell'art. 16  si  prevede,
come nelle altre disposizioni qui impugnate, che i  suddetti  decreti
legislativi siano adottati  «previa  acquisizione  del  parere  della
Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto  1997,  n.  281»  che  deve  essere  reso  «nel   termine   di
quarantacinque giorni dalla data di trasmissione», «decorso il  quale
il Governo puo' comunque procedere». In questi termini, nonostante le
descritte interferenze con le materie  regionali,  evidentemente  non
risolvibili con il mero criterio  della  prevalenza  del  legislatore
statale, si prevede una forma di raccordo con  le  Regioni  altamente
insufficiente, lesiva del principio di bilateralita',  in  quanto  il
mancato raggiungimento  dell'accordo  (il  cui  termine  peraltro  e'
decisamente  troppo  breve)  legittima,  di  per  se',   l'assunzione
unilaterale di atti normativi in contrasto con  quanto  ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza costituzionale  richiamata  nei  punti
i), ii) e iii) del punto l del presente ricorso. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, lett. a), b),
c), d), e), f), l), m), o), q), r), s),  t),  della  legge  7  agosto
2015, n. 124, per violazione degli articoli 5,  117,  II,  III  e  IV
comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 17, comma 1, definisce nei seguenti termini i  principi  e
criteri direttivi per il riordino della disciplina  del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche: lett.  a)  riconoscimento
nei concorsi pubblici della professionalita' acquisita da coloro  che
abbiano avuto  rapporti  di  lavoro  flessibile  con  amministrazioni
pubbliche; lett. b) disciplina delle prove  concorsuali  in  modo  da
privilegiare  l'accertamento  della  capacita'   dei   candidati   di
utilizzare e applicare a problemi specifici e casi  concreti  nozioni
teoriche; c) accentramento dei concorsi per tutte le  amministrazioni
pubbliche e  la  revisione  delle  modalita'  di  espletamento  degli
stessi,; lett. d) soppressione  del  requisito  del  voto  minimo  di
laurea per la partecipazione ai concorsi per l'accesso agli  impieghi
nelle    pubbliche    amministrazioni;    lett.     e)     previsione
dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese  e  di  altre
lingue, quale requisito di partecipazione al  concorso  o  titolo  di
merito valutabile dalle commissioni giudicatrici,  secondo  modalita'
definite dal bando anche in relazione ai posti da coprire;  lett.  f)
valorizzazione  del  titolo  di  dottore  di  ricerca;  lett.  l)  la
riorganizzazione delle funzioni di accertamento medico legale in caso
di assenze dei dipendenti pubblici per malattia,  con  l'attribuzione
all'INPS   delle   relative   competenze   al   fine   di   garantire
l'effettivita' dei controlli; lett. m) definizione  di  obiettivi  di
contenimento delle assunzioni, differenziati in base  agli  effettivi
fabbisogni; lett. o) disciplina delle forme di lavoro flessibile, con
individuazione di limitate e  tassative  fattispecie,  caratterizzate
dalla compatibilita' con la peculiarita' del rapporto di lavoro  alle
dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche  e  con   le   esigenze
organizzative e  funzionali  di  queste  ultime,  anche  al  fine  di
prevenire il precariato; lett. q) il  progressivo  superamento  della
dotazione organica come limite per le assunzioni, anche  al  fine  di
facilitare i processi di mobilita'; lett.  r)  semplificazione  delle
norme  in  materia  di  valutazione  dei  dipendenti   pubblici,   di
riconoscimento del  merito  e  di  premialita';  razionalizzazione  e
integrazione dei sistemi di valutazione, anche al fine della migliore
valutazione delle politiche; sviluppo  di  sistemi  distinti  per  la
misurazione  dei  risultati  raggiunti  dall'organizzazione   e   dei
risultati  raggiunti  dai  singoli  dipendenti;   potenziamento   dei
processi di valutazione indipendente  del  livello  di  efficienza  e
qualita'  dei  servizi  e  delle  attivita'   delle   amministrazioni
pubbliche e degli impatti  da  queste  prodotti,  anche  mediante  il
ricorso a standard di riferimento e confronti; lett. s)  introduzione
di norme in materia  di  responsabilita'  disciplinare  dei  pubblici
dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e  certo  nei
tempi  di  espletamento  e  di  conclusione  l'esercizio  dell'azione
disciplinare, t)  rafforzamento  del  principio  di  separazione  tra
indirizzo politico-amministrativo e gestione. 
    Le disposizioni citate stabiliscono principi e criteri  direttivi
rivolti  a  disciplinare  direttamente  anche  il  pubblico   impiego
regionale,  senza  che  intervenga,  anche  in  questo  caso,  alcuna
distinzione  e  qualificazione,  all'interno  di  questi,   di   quei
«principi generali dell'ordinamento»  che  soli  sarebbero  idonei  a
vincolare la potesta' legislativa regionale in materia  (Corte  cost.
n. 388/2004). 
    Ma come ricordato al p.to 2  del  presente  ricorso,  secondo  la
costante giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte,  «l'impiego  pubblico
anche regionale deve  ricondursi,  per  i  profili  privatizzati  del
rapporto, all'ordinamento civile e quindi alla competenza legislativa
statale esclusiva,  mentre  i  profili  «pubblicistico-organizzativi»
rientrano nell'ordinamento e organizzazione amministrativa regionale,
e quindi appartengono alla  competenza  legislativa  residuale  della
Regione (ex multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77  del  2011,
n. 233 del 2006, n. 2 del 2004)» (sent. n. 149 del 2012, cfr. inoltre
sent. n. 100 del 2010). 
    Da questo punto di vista  si  deve  ritenere  che  rientri  nella
competenza regionale la disciplina: dei procedimenti di selezione per
l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; delle  responsabilita'
giuridiche  attinenti  ai  singoli  operatori  nell'espletamento   di
procedure amministrative; degli organi, degli uffici e  dei  modi  di
conferimento   della   titolarita'   dei   medesimi;   dei   principi
fondamentali di organizzazione degli uffici; dei ruoli e le dotazioni
organiche nonche' la loro consistenza complessiva. 
    Si tratta di  ambiti  in  cui  illegittimamente  intervengono  le
disposizioni impugnate. 
    Tuttavia, anche in relazione a questa fattispecie si evidenzia la
differenza  da  quanto  stabilito  nelle  precedenti  riforme  e   in
particolate da quella disposta dalla  legge  delega  n.  15/2009  che
espressamente disponeva che la maggior parte dei decreti  legislativi
fosse adottata «previa intesa» in sede di Conferenza unificata  (art.
2, co. 2, l. n. 15/2009). 
    Anche in questo caso - stante il richiamo che alle materie di cui
al medesimo art. 17 e' operato dal succitato art.  16  -  i  relativi
decreti  legislativi  di  riordino  sono,  invece,  adottati  «previa
acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art.  8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere  reso
«nel termine di quarantacinque giorni dalla  data  di  trasmissione»,
«decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». 
    L'illegittimita' della presente disposizione deriva quindi  anche
dall'insufficiente  forma  di  raccordo  prevista  con   il   sistema
regionale, stante il combinato disposto con l'art. 16 succitato e  in
questa sede impugnato. 
    Nonostante le molteplici interferenze che i  principi  e  criteri
direttivi  previsti  dall'art.  17  presentino  con   le   competenze
regionali di cui agli artt. 117,  III  e  IV  comma,  e  119,  Cost.,
evidentemente non risolvibili con il mero criterio  della  prevalenza
del legislatore statale, si dispone, infatti, una forma  di  raccordo
con le Regioni  altamente  insufficiente,  lesiva  del  principio  di
bilateralita', in quanto il mancato raggiungimento  dell'accordo  (il
cui termine peraltro e' decisamente troppo breve) legittima,  di  per
se', l'assunzione unilaterale di  atti  normativi  in  contrasto  con
quanto ripetutamente affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale
(richiamata al precedente p.to 1, lett. i), ii) e iii)  del  presente
ricorso. 
    Da cio' deriva la lesione degli artt. 117, II, III  e  IV  comma,
118, 119, 5 e 120 Cost. sul principio di leale collaborazione. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, lett a), b),  c),  e),
i), l) e m), punti da 1 a 7, della legge 7 agosto 2015, n.  124,  per
violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost. 
    L'art.  18  delega  il  Governo  a  operare  un  riordino   della
disciplina  delle  partecipazioni  azionarie  delle   amministrazioni
pubbliche,  e,  trascendendo  quanto   puo'   legittimamente   essere
ricondotto  alle  competenze  statali  in  materia  di  tutela  della
concorrenza e coordinamento della finanza pubblica (si ricorda che la
regione Veneto ha gia' impugnato l'art. 1, commi  611  e  612,  della
legge n. 190/2014) prevede come principi  e  criteri  direttivi,  tra
l'altro: lett. a) ricorso ad una varieta' di tipologie societarie  in
relazione  alle  attivita'  svolte  e  agli  interessi  pubblici   di
riferimento,  con  applicazione  di  distinte  discipline,  derogando
"proporzionalmente"   alla   disciplina   privatistica;   lett.    b)
ridefinizione delle regole, delle condizioni e soprattutto dei limiti
per la costituzione di societa' o per l'assunzione o il  mantenimento
di partecipazioni societarie da parte di  amministrazioni  pubbliche;
lett.  c)  definizione  di  un   preciso   regime   che   regoli   le
responsabilita' degli amministratori degli enti partecipanti e  degli
organi delle societa' partecipate;  lett.  e)  razionalizzazione  del
regime  pubblicistico  per  gli  acquisti  e  il   reclutamento   del
personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche  retributive;
lett. i) possibilita' di piani di rientro per le societa' con bilanci
in disavanzo con eventuale commissariamento; lett. l) regolazione dei
flussi  finanziari,  sotto  qualsiasi  forma,   tra   amministrazione
pubblica e societa' partecipate  secondo  i  criteri  di  parita'  di
trattamento tra imprese pubbliche e private e operatore di mercato. 
    Vengono poi previsti specifici criteri direttivi in relazione  al
riordino  delle  societa'   partecipate   dagli   enti   locali:   in
particolare, alla lett. m), punti da 1 a 7: stabilire  i  criteri  di
scelta della forma societaria piu' adeguata per le societa';  per  le
societa' che  gestiscono  servizi  pubblici  di  interesse  economico
generale, individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite
di bilancio che comportino obblighi di liquidazione  delle  societa';
rafforzamento delle misure volte a  garantire  il  raggiungimento  di
obiettivi di qualita', efficienza, efficacia ed  economicita',  anche
attraverso   la   riduzione   dell'entita'   e   del   numero   delle
partecipazioni  e  l'incentivazione  dei  processi  di  aggregazione,
intervenendo sulla disciplina dei rapporti finanziari tra ente locale
e societa'  partecipate  nel  rispetto  degli  equilibri  di  finanza
pubblica e al fine  di  una  maggior  trasparenza;  promozione  della
trasparenza; introduzione di un sistema sanzionatorio per la  mancata
attuazione dei principi di razionalizzazione e riduzione  di  cui  al
presente articolo, basato anche  sulla  riduzione  dei  trasferimenti
dello  Stato  alle   amministrazioni   che   non   ottemperano   alle
disposizioni   in   materia;   introduzione   di   strumenti,   anche
contrattuali, volti a favorire la tutela  dei  livelli  occupazionali
nei processi di  ristrutturazione  e  privatizzazione  relativi  alle
societa' partecipate. 
    In questi termini le disposizioni delle lett. a), b), c), e), i),
l) dell'art. 18 non precisando il loro ambito di applicazione  -  si'
da risultare dunque riferite anche per le societa' partecipate  dalle
Regioni - si pongono in contrasto con l'autonomia organizzativa delle
Regioni riconosciuta da questa  Ecc.ma  Corte  costituzionale.  Nella
sentenza n. 229/2013 si precisa, infatti,  che  disposizioni  statali
rivolte a vietare - come prefigurano le lett. a) e b), peraltro anche
in relazione alla societa' esistenti - alle  Regioni  di  assumere  o
mantenere   partecipazioni   in   societa'    pubbliche    comportano
l'illegittima conseguenza di  sottrarre  alle  Regioni  medesime  «la
scelta in ordine alle modalita' organizzative  di  svolgimento  delle
attivita' di produzione di beni o servizi  strumentali  alle  proprie
finalita' istituzionali ... In sostanza, [...] precludono anche  alle
Regioni, titolari di competenza legislativa residuale e  primaria  in
materia  di  organizzazione,  costituzionalmente  e   statutariamente
riconosciuta e garantita, la scelta di una delle possibili  modalita'
di  svolgimento  dei  servizi  strumentali  alle  proprie   finalita'
istituzionali.  [...]»   e   «incidono,   pertanto,   sulla   materia
dell'organizzazione e funzionamento della Regione, affidata dall'art.
117, quarto  comma,  Cost.,  alla  competenza  legislativa  regionale
residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria ..., tenuto conto  che
esse  inibiscono  in  radice   una   delle   possibili   declinazioni
dell'autonomia organizzativa regionale» (sent. n. 229/2013). 
    Inoltre,  la  lett.  c)  delega  il   Governo   a   definire   la
responsabilita' -  peraltro  senza  alcuna  specificazione,  con  una
formula dunque  idonea  a  ricomprendere  qualsivoglia  tipologia  di
responsabilita' - non solo degli organi delle  societa'  partecipate,
ma anche «degli amministratori delle  amministrazioni  partecipanti»,
senza  alcuna  considerazione  che  in  questi  termini  l'intervento
governativo  e'  destinato  a  sconfinare  anche  nell'ambito   della
«responsabilita' amministrativa» del personale regionale che, come in
precedenza evidenziato al p.to 2 (Corte  cost.  n.  345/2004),  esula
dalla competenza statale. 
    Ancora, la  lett.  e)  prevedendo  razionalizzazione  del  regime
pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i
vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, non considera  le
competenze   regionali   nella    materia    dell'organizzazione    e
funzionamento della Regione, ad essa affidata dall'art.  117,  quarto
comma, Cost. 
    Inoltre,  la  lett.  i)  delega  il  Governo   a   prevedere   la
«possibilita' di piani di rientro per  le  societa'  con  bilanci  in
disavanzo con eventuale  commissariamento»,  senza  considerare  che,
come affermato dalla sent. n. 249/2009 di questa Ecc.ma Corte e' solo
alla Regione  che  «spetta  provvedere  a  regolare  dettagliatamente
modalita' e termini di esercizio del proprio potere  sostitutivo»  in
ambiti ricollegati, come  quello  in  esame,  alla  competenza  della
propria legislazione. 
    Infine, la lett.  l)  interviene  sulla  regolazione  dei  flussi
finanziari, sotto qualsiasi forma,  tra  amministrazione  pubblica  e
societa' partecipate,  senza  nessuna  considerazione  dell'autonomia
finanzia regionale di cui all'art. 119 Cost. 
    Quanto, da ultimo, alla lett. m) che detta, nei punti da 1  a  7,
specifici criteri direttivi in relazione al riordino  delle  societa'
partecipate dagli enti locali, e' evidente che tale criteri direttivi
per come sono  formulati,  sacrificano  integralmente  la  competenza
regionale  a  legiferare  sulle  societa'  dagli  enti  locali,   non
lasciando alcuno spazio per l'intervento  regolativo  della  Regione,
nonostante questa Ecc.ma Corte ne abbia  riconosciuto  e  valorizzato
l'esistenza, come, ad es., nella sent. n.  29/2006  legittimando  una
normativa regionale che,  per  le  societa'  a  capitale  interamente
pubblico cui sia stata conferita dagli enti locali la  proprieta'  di
reti, impianti e dotazioni patrimoniali, destinati all'esercizio  dei
servizi pubblici, stabilisce un  limite  minimo  (40  per  cento  del
capitale sociale) per la partecipazione azionaria del socio  privato,
da scegliere con procedura di evidenza pubblica, nella societa' mista
cui puo' essere conferita la titolarita' della gestione del  servizio
pubblico di rilevanza economica. 
    In questi termini le norme impugnate risultano in  contrasto  con
il principio di proporzionalita', dal momento che non si  configurano
come il mezzo meno invasivo (si veda Corte cost.  n.  272  del  2004,
cit. al punto successivo del presente ricorso)  per  disciplinare  la
tutela della concorrenza e il coordinamento della  finanza  pubblica,
con una lesione che evidentemente ridonda sulle competenze regionali. 
    In ogni  caso,  risultano  poi  violare  il  principio  di  leale
collaborazione. Come  anche  in  relazione  alle  lettere  precedenti
dell'art. 18, a), b), c), e), i), l), anche in  relazione  all'ambito
materiale  oggetto  della  lett.  p),   infatti,   a   fronte   della
compressione della competenza normativa in ambiti di loro  spettanza,
per il combinato disposto tra  l'art.  18  e  l'art.  16  i  relativi
decreti legislativi di riordino sono  adottati  «previa  acquisizione
del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere reso «nel termine
di quarantacinque giorni dalla data  di  trasmissione»,  «decorso  il
quale il Governo puo' comunque procedere». 
    Nonostante  le  molteplici   interferenze   dimostrate   con   le
competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV  comma,  e  119,
Cost., evidentemente non  risolvibili  con  il  mero  criterio  della
prevalenza del legislatore statale, si dispone, quindi, una forma  di
raccordo con le Regioni altamente insufficiente, lesiva del principio
di bilateralita', in quanto il  mancato  raggiungimento  dell'accordo
(il cui termine peraltro e' decisamente troppo breve)  legittima,  di
per se', l'assunzione unilaterale di un provvedimento,  in  contrasto
con   quanto    ripetutamente    affermato    dalla    giurisprudenza
costituzionale (richiamata al precedente p.to 1, lett. i), ii) e iii)
del presente ricorso. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, lett. b), e), d),  g),
h), l), m), n), o), p), s), t), u), della legge  7  agosto  2015,  n.
124, per violazione degli articoli 5, 117, II, III e IV comma, 118  e
119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione
di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 19 reca una delega legislativa al Governo per il  riordino
della disciplina dei servizi pubblici  locali  d'interesse  economico
generale, rivolta, in particolare, alla previsione di una  disciplina
generale in materia di regolazione e di organizzazione dei servizi di
interesse economico generale di ambito locale. 
    Nello specifico, trascendendo quanto legittimamente  puo'  essere
ricondotto  alla  competenza  statale  in  materia  di  tutela  della
concorrenza e coordinamento della finanza pubblica,  viene  previsto:
lett. b) soppressione, previa ricognizione, dei regimi di  esclusiva,
comunque denominati, non conformi ai principi generali in materia  di
concorrenza e comunque non indispensabili per assicurare la  qualita'
e l'efficienza del servizio; lett. c) individuazione della disciplina
generale in materia di regolazione e organizzazione  dei  servizi  di
interesse  economico  generale  di   ambito   locale,   compresa   la
definizione dei criteri per  l'attribuzione  di  diritti  speciali  o
esclusivi; lett. d) definizione, anche mediante rinvio alle normative
di  settore  e  armonizzazione  delle   stesse,   dei   criteri   per
l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica; lett.  g)  individuazione  dei  criteri  per  la
definizione dei regimi tariffari che tengano conto  degli  incrementi
di produttivita' al fine di ridurre l'aggravio sui cittadini e  sulle
imprese; lett. h) definizione delle modalita' di tutela degli  utenti
dei servizi  pubblici  locali;  lett.  l)  previsione  di  una  netta
distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le  funzioni
di  gestione  dei  servizi,  anche  attraverso  la   modifica   della
disciplina  sulle   incompatibilita'   o   sull'inconferibilita'   di
incarichi o cariche; lett. m) revisione della disciplina  dei  regimi
di proprieta' e gestione delle reti, degli  impianti  e  delle  altre
dotazioni, nonche' di cessione dei beni in caso di subentro, in  base
a principi di tutela e valorizzazione della proprieta'  pubblica,  di
efficienza, di promozione  della  concorrenza,  di  contenimento  dei
costi di gestione, di  semplificazione;  lett.  n)  individuazione  e
allocazione dei poteri di  regolazione  e  controllo  tra  i  diversi
livelli di governo e le autorita' indipendenti, al fine di assicurare
la trasparenza nella  gestione  e  nell'erogazione  dei  servizi,  di
garantire  l'eliminazione  degli  sprechi,  di  tendere  al  continuo
contenimento  dei  costi  aumentando  nel   contempo   gli   standard
qualitativi dei servizi; lett. o) previsione di adeguati strumenti di
tutela non giurisdizionale per  gli  utenti  dei  servizi;  lett.  p)
introduzione e potenziamento di forme di consultazione dei  cittadini
e di partecipazione  diretta  alla  formulazione  di  direttive  alle
amministrazioni pubbliche e alle societa' di servizi sulla qualita' e
sui costi  degli  stessi;  lett.  s)  definizione  del  regime  delle
sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di violazione  della
disciplina in materia; lett.  t)  armonizzazione  con  la  disciplina
generale delle disposizioni speciali  vigenti  nei  servizi  pubblici
locali, relative alla disciplina giuridica dei  rapporti  di  lavoro;
lett.  u)  definizione  di  strumenti  per  la   trasparenza   e   la
pubblicizzazione  dei  contratti  di  servizio,  relativi  a  servizi
pubblici locali di interesse economico generale, da parte degli  enti
affidanti anche attraverso la definizione di  contratti  di  servizio
tipo per ciascun servizio  pubblico  locale  di  interesse  economico
generale. 
    Tali  disposizioni,  essendo  rivolte  al  riordino   dell'intero
settore dei servizi pubblici locali  d'interesse  economico  generale
hanno un ambito di - applicazione estremamente ampio e sono destinate
a interferire con  materie  come  quella  dei  servizi  pubblici  del
trasporto pubblico locale, certamente rientranti in tale ambito (cfr.
in via piu' generale sent.  n.  325/2010  dove  questa  Ecc.ma  Corte
precisa la corrispondenza tra la nozione di servizio pubblico  locale
di rilevanza economica con quello di «servizi di  interesse  generale
in ambito locale» di rilevanza economica, facendo entrambe le nozioni
riferimento  infatti  «ad  un  servizio  che:  a)  e'  reso  mediante
un'attivita' economica (in forma  di  impresa  pubblica  o  privata),
intesa  in  senso  ampio,  come  "qualsiasi  attivita'  che  consista
nell'offrire beni o servizi  su  un  determinato  mercato"  (come  si
esprimono sia la citata sentenza della  Corte  di  giustizia  UE,  18
giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia  le  sentenze  della
stessa Corte 10 gennaio 2006,  C-222/04,  Ministero  dell'economia  e
delle finanze, e 16 marzo 2004,  cause  riunite  C-264/01,  C-306/01,
C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonche' il  Libro  verde  sui
servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al  paragrafo  2.3,
punto 44); b) fornisce prestazioni considerate  necessarie  (dirette,
cioe', a  realizzare  anche  "fini  sociali"  nei  confronti  di  una
indifferenziata generalita' di cittadini)». 
    Da questo punto di vista  e'  quindi  preliminare  precisare  che
questa Ecc.ma Corte, nella sentenza n. 222 del 2005, ha chiarito  che
la materia del trasporto pubblico locale  rientra  nell'ambito  delle
competenze residuali delle Regioni di cui al quarto  comma  dell'art.
117 Cost., «come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della
riforma del Titolo  V  della  Costituzione,  il  decreto  legislativo
422/1997 [...] aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle
Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti  relativi  a  tutti  i
«servizi pubblici di trasporto di interesse regionale  e  locale  con
qualsiasi modalita' effettuati ed in  qualsiasi  forma  affidati»  ed
escludendo solo i trasporti pubblici di interesse nazionale». 
    Cio'  premesso,  appare  chiaro  che   le   norme   in   oggetto,
intervengono su ambiti certamente rimessi, in una materia come quella
indicata, alla competenza regionale residuale in materia di trasporto
pubblico locale e organizzazione  amministrativa  regionale  e  degli
enti  locali.  Esse,  infatti,  dettano  criteri  direttivi  rivolti,
nell'ordine, a: sopprimere i regimi di esclusiva, ma non solo  quelli
non conformi ai principi generali in materia di concorrenza, ma anche
quelli non indispensabili per assicurare la qualita'  e  l'efficienza
del servizio;  definire  i  criteri  per  l'attribuzione  di  diritti
speciali  o  esclusivi;  definire  i  criteri  per   l'organizzazione
territoriale ottimale  dei  servizi  pubblici  locali;  nonche':  dei
regimi tariffari; delle modalita' di tutela degli utenti dei  servizi
pubblici locali; delle incompatibilita'  o  dell'inconferibilita'  di
incarichi o  cariche;  dei  regimi  di  gestione  delle  reti;  della
allocazione dei poteri di  regolazione  e  controllo  tra  i  diversi
livelli di governo. Detti criteri direttivi intervengono a: prevedere
adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli  utenti  dei
servizi; introdurre  e  potenziare  le  forme  di  consultazione  dei
cittadini e la partecipazione; definire il regime  delle  sanzioni  e
degli interventi sostitutivi; definire strumenti per la trasparenza e
la pubblicizzazione dei contratti di servizio. 
    Da questo punto di vista l'intervento statale trascende i  limiti
entri cui deve attenersi  la  trasversalita'  della  materia  «tutela
della concorrenza» perche', come questa Ecc.ma  Corte  ha  precisato,
con la sentenza n. 272 del 2004: «Il criterio della  proporzionalita'
e dell'adeguatezza appare quindi essenziale per definire l'ambito  di
operativita' della  competenza  legislativa  statale  attinente  alla
"tutela della concorrenza" e  conseguentemente  la  legittimita'  dei
relativi interventi statali. Trattandosi infatti  di  una  cosiddetta
materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la
quale non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e  determinata,
ma, per cosi' dire, "trasversale" (cfr. sentenza n.  407  del  2002),
poiche' si intreccia inestricabilmente con una  pluralita'  di  altri
interessi - alcuni dei quali rientranti  nella  sfera  di  competenza
concorrente o  residuale  delle  Regioni  -  connessi  allo  sviluppo
economico-produttivo del Paese, e' evidente la necessita' di  basarsi
sul criterio di  proporzionalita-adeguatezza  al  fine  di  valutare,
nelle diverse ipotesi, se la tutela  della  concorrenza  legittimi  o
meno determinati interventi legislativi dello Stato» (Corte cost.  n.
272 del 2004). 
    Nel caso di specie, questo criterio  di  proporzionalita'  appare
chiaramente violato, con una ripercussione  sulle  competenze,  sopra
richiamate, delle Regioni. 
    Inoltre, a fronte  della  dimostrata  invadenza  della  normativa
statale su evidenti ambiti di competenza  regionale  e  del  completo
sacrificio  della  potesta'  legislativa  regionale   riguardo   alla
possibilita' di adottare le proprie scelte di organizzazione, nemmeno
viene prevista una adeguata forma di raccordo con le Regioni. 
    Per il combinato disposto tra l'art. 19 e l'art. 16,  infatti,  i
relativi  decreti  legislativi  di  riordino  sono  adottati  «previa
acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art.  8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» che deve essere  reso
«nel termine di quarantacinque giorni dalla  data  di  trasmissione»,
«decorso il quale il Governo puo' comunque procedere». 
    Nonostante le molteplici interferenze con le competenze regionali
di cui agli artt. 117, III e IV comma, e 119 Cost., evidentemente non
risolvibili con il mero criterio  della  prevalenza  del  legislatore
statale, si dispone, quindi, una forma di  raccordo  con  le  Regioni
altamente insufficiente, lesiva del principio  di  bilateralita',  in
quanto  il  mancato  raggiungimento  dell'accordo  (il  cui   termine
peraltro  e'  decisamente  troppo  breve)  legittima,  di  per   se',
l'assunzione unilaterale di atti normativi in  contrasto  con  quanto
ripetutamente   affermato   dalla    giurisprudenza    costituzionale
(richiamata al precedente p.to 1, lett. l), ii) e iii)  del  presente
ricorso. 

(1) Nella  sentenza  si  afferma,  quindi,  che  la  regolamentazione
    dell'accesso ai pubblici impieghi mediante concorso e' riferibile
    all'ambito della competenza esclusiva statale, sancita  dall'art.
    117, secondo comma, lett. g), Cost., solo per quanto  riguarda  i
    concorsi indetti  dalle  amministrazioni  statali  e  dagli  enti
    pubblici nazionali. Non altrettanto puo' dirsi per l'accesso agli
    impieghi presso le Regioni e gli altri enti regionali. Ed invero,
    ha affermato la Corte, la  regolamentazione  delle  modalita'  di
    accesso al lavoro pubblico regionale -  in  quanto  riconducibile
    alla materia innominata dell'organizzazione amministrativa  delle
    Regioni e degli enti pubblici regionali - e' preclusa allo  Stato
    (a maggior  ragione  attraverso  disposizioni  di  dettaglio),  e
    spetta alla competenza residuale delle Regioni  (v.  sentenza  n.
    2/2004), ovviamente nel rispetto dei  limiti  costituzionali  (v.
    sentenza n. 274/2003). Ha pertanto dichiarato  costituzionalmente
    illegittimo l'art. 53 della legge n. 289 del 2002 nella parte  in
    cui si applicava ai concorsi banditi dalle Regioni o  dagli  enti
    regionali.